In Europa e negli Stati Uniti ai nostri santi in paradiso e cari defunti dedichiamo una giornata di festa. Come spesso succede con i numeri - e definitivamente con le feste - l’India ci batte con un ampio margine di vantaggio: la commemorazione dei morti nell’induisimo dura 16 giorni!
Il festival annuale, legato al calendario lunare, si chiama pitru paksha (numerse varianti del nome esistono a seconda della lingua e dello stato in cui si festeggia) ed è dedicato agli antenati.
Durante le due settimane del pitru paksha si offrono preghiere, acqua e cibo ai defunti affinché non patiscano la fame nel mondo dove si trovano e possano riposare in pace, benedire e fare prosperare i vivi sulla terrra. Il rito di offerta dedicato ai morti si chiama generalmente shraddha e deve essere eseguito da un discendente maschio.
Secondo la mitologia dell’induismo il dio Yama, il dio della morte, traghetta l’anima del defunto dalla terra al pitru-loka, il mondo degli avi. Una sorta di dimensione di mezzo tra la terra e l’unione con Dio. Qua l’anima aspetta il suo turno per andare in paradiso e ha bisogno di essere ricordata dai vivi e di ricevere le offerte di acqua, pinda (palline di riso e burro chiarificato) e cibo fatte sulla terra. Tre generazioni convivono nel pitru-loka, all’arrivo dell’anima di quarta generazione lo spirito più vecchio può diventare parte del principio divino.
Durante il periodo del pitru-paksha si aprono le porte per il paradiso ed è l’occasione ideale per far banchettare e rasserenare gli antenati in attesa di ascensione.
Si capisce quindi perché in India sia IMPERATIVO avere dei figli: ogni nuova generazione è la chiave di salvezza per l’anima dei suoi antenati. Meno bambini nascono sulla terra, meno anime lasciano il pitru-loka. Ogni generazione ha il dovere morale di preoccuparsi non solo degli anziani, ma anche dei trisavoli, in una concatenazione di passato-presente-futuro tipica della civiltà dell’India.
Il festival del pitru paksha sembra esistere in India sin dal periodo vedico, la fase più antica dell’induismo che conosciamo oggi.
Naturalmente esiste una leggenda a spiegarne la nascita.
Nel grande poema del Mahabharata si racconta la storia del re Karna, il più sfortunato dei protagonisti dell’epica. Alla sua morte Karna finisce in paradiso e gli dei gli offrono cibo fatto d’oro, molto prezioso ma indigeribile. Karna, figlio abbandonato del dio sole e dell’umana Kunti, nella sua vita si era distinto per la bravura nelle armi e per la generosità, gli era impossibile resistere a una richiesta di aiuto ed elargiva con facilita’ oro e pietre preziose ai bisognosi. Tuttavia, non sapendo chi fossero i suoi antenati, Karna per tutta la vita non aveva mai osservato il rituale shraddha. Non avendo mai offerto cibo e acqua in vita, il povero Karna si ritrova a patire la fame e la sete nell’aldilà!
Fortunatamente gli dei comprendono la sua triste situazione e gli permettono di tornare sulla terra per fare ammenda, compiendo i rituali shraddha e offrendo cibo e acqua non solo in memoria dei defunti ma anche ai poveri e bisognosi. Il periodo in cui Karna torna tra i vivi sono le due settimane del pitru-paksha.
Ogni stato e comunità celebra i rituali in maniera diversa. Durante il pitru-paksha lo shraddha viene offerto a un defunto durante un giorno particolare, calcolato a seconda della luna del giorno del decesso. Ci sono giorni fissati invece sulla base del tipo di morte e anche dello status sociale del defunto (bambini e asceti rinuncianti per esempio).
Il rituali avvengono al tramonto, in prossimità di un fiume o di una riserva d’acqua. La preparazione comporta spesso digiuni e riti di purificazione. A fare le offerte deve essere rigorosamene un uomo, meglio se il figlio primogenito del defunto.
Se arrivano i corvi a mangiare il cibo offerto significa che gli avi hanno accettato il dono.
I corvi sono infatti considerati messaggeri tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
Ogni giorno del pitru paksha è considerato di cattivo auspicio, essendo la morte contaminante.
Si sconsiglia di iniziare nuove attività in questo periodo.
Sicuramente l’idea che unicamente il maschio possa eseguire i rituali shraddha non ha portato fortuna alle donne: esse contribuiscono al benessere degli antenati generando figli, le cui anime aiuteranno i defunti a uscire dal pitruloka, ma non possono fare offerte ai morti e finche’ non partoriscono un figlio maschio non adempiono ai propri doveri nei confronti degli avi.
Crediti
Foto: Brahman Bhoj
Illustrazione: Crow ClipArt
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