Una corsa contro il tempo per trovare un auto e arrivare alla stazione entro le quattro meno dieci, l’ora prevista per la partenza del mio treno per Trivandrum. L’autista è un eroe che attraversa pozzanghere che sembrano laghi, conosce bene il territorio e riesce ad evitare le immancabili buche anche quando sono sommerse. Arrivo alla stazione con 5 minuti di anticipo.
Ma la gioia dell’impresa dura poco.
La stazione di Changanaseri è stata rinnovata da poco, io entro dall’edificio vecchio, dove è ancora attiva una biglietteria con due sportelli polverosi- ti aspetti che il bigliettaio da oltre la grata ti allunghi un biglietto del treno stampato su un piccolo cartoncino (però io ho il mio sul cellulare, comprato comodamente ed efficientemente online). Oltre alla biglietteria non c’è nulla, non un pannello con i treni in partenza o in arrivo e nemmeno un orologio, sembra una stazione in via di estinzione. Poco importa, mi precipito sul binario per prendere il mio treno che dovrebbe essere arrivato.
Sui binari tanta gente e nessuna indicazione sui treni. Mentre cammino verso le scale del passaggio sopraelevato per attraversare medito sulla strategia migliore: correre fino alla stazione nuova, in fondo al binario 1 sperando in una schermata con gli orari o chiedere a qualcuno?
In questa stazione le informazioni sono rare come le possibilità di attraversare i binari senza saltare giù dal marciapiede, superare le rotaie e risalire. Chiedo a due diversi viaggiatori dove arrivano i treni diretti a Trivandrum. Rassicurata dall’aver ottenuto la stessa risposta salgo sul ponte e mi siedo su una panchina sul binario 3.
I treni sono spesso in ritardo per cui non mi preoccupo, mi immergo nella lettura di un romanzo. Il libro mi cattura e quando ritorno con la mente a Changanaseri mi sorprendo che siano già le le 4.45. Aiuto! Forse il mio treno era arrivato in anticipo e l’ho perso?
Ritorno sul binario 1 in cerca di informazioni che nessuno sul binario sa darmi. Nessuna indicazione su tutto il binario fino alla stazione nuova.
Nell’atrio, più moderno, spazioso e luminoso con il pavimento lastricato di piastrelle bianche due sportelli aperti, entrambi con coda di persone in attesa. Mi metto in coda alla biglietteria per avere informazioni sul mio treno. Litigo moderatamente prima con un anziano e poi con un ragazzo che si infilano lateralmente proprio davanti allo sportello, saltando bellamente la coda (non sono la sola ad essere infastidita, anche il signore tre posizioni davanti a me protesta, ma siamo i soli, gli altri in attesa sono tranquilli e forse più saggi).
Finalmente, alle 17.05 scopro, grazie al bigliettaio di poche parole, che il mio treno è in ritardo, non ci sono possibilità che arrivi prima delle sei.
Comincio a perdere la calma, sento il nervoso irrequieto di un occidentale in attesa che ha bisogno di sapere cosa sta succedendo, perché i treni sono in ritardo, se mai i treni arriveranno.
Il mio cellulare è scarico, non posso nemmeno avvertire chi mi dovrebbe aspettare a Trivandrum all’arrivo. Caricare la batteria diventa la mia priorità. Nell’atrio vuoto ci sono tre prese della corrente per la ricarica su tre diverse pareti, tutte e tre occupate, e una fila di prese vicino a un computer per il controllo delle prenotazioni (che non usa nessuno). Non sono nemmeno arrivata a un metro dalle prese libere che un omino mi blocca dicendomi in malayalam e perentoriamente che non posso ricaricare lì, ma devo usare le prese occupate.
La rabbia sale, dovrei già essere a metà strada verso casa. Perché ho deliberatamente scelto di vivere in India, in questa terra dove avere informazioni è un’impresa e i divieti sono così tanti e misteriosi?
Viaggiare in India è divertente, arricchente, appagante. Ti confronti con un mondo nuovo, impari, non ti annoi mai. Ogni tanto ti senti un esploratore che supera numerose sfide.
Vivere in India è un po’ meno poetico. Lavorarci a tratti ti sembra un incubo. Le differenze culturali e strutturali ti pesano.
In questa stazione di Changanaseri riconosco che non sono indiana, sono l’unica spazientita. Non è tanto il ritardo quanto l’indolenza con cui il ritardo è trattato, la completa mancanza di attenzione per i viaggiatori e il loro diritto a sapere.
Tanto prezioso è il tempo per noi quanto lo sono le informazioni per gli indiani -a giudicare da come le elargiscono con il contagocce!
A pensarci bene il centellinare la conoscenza è una buona strategia. Non dare informazioni puntuali e complete ti permette di controllare la situazione, acquisire la posizione di potere stando dalla parte della ragione, diventare indispensabile e... fare impazzire qualcuno impaziente. Comunque, sia una scelta consapevole o meno, è un dato di fatto: in India non è facile trovare qualcuno che vi dia indicazioni complete, permettendovi di ricostruire il quadro della situazione nel suo insieme. Sta a voi mettere insieme i pezzi e fare le domande giuste.
La riflessione mi porta lontano dalla stazione, mi fa viaggiare tra la storia dell’India, tra i meandri delle sue tradizioni, penso alle caste, al diritto allo studio riservato solo alle caste alte. L’esasperazione che ho provato pochi minuti prima scema, è una battaglia persa.
Mi guardo attorno, vedo solo persone in attesa, sembrano tranquille. Forse ero la sola a non sapere? Gli altri si sono scambiati informazioni in qualche codice segreto? Probabilmente gli altri sono semplicemente abituati. Non hanno bisogno di essere informati perché già sanno: quando piove i treni sono in ritardo, arriveranno. Che differenza fa sapere esattamente perché? Di quanto è il ritardo previsto? Avere il controllo sul tempo e sulla vita è un’illusione, arrabbiarsi fa male al fegato. O forse il grande segreto della loro calma è la fede che hanno nella risoluzione positiva dell’attesa. In qualche modo arriveranno dove devono arrivare, sia che si arrabbino o che pazientino. Effettivamente succede spesso in India di essere disperati e poi, inaspettatamente, un indiano gentile ti viene incontro e ti porta la soluzione del tuo problema con un sorriso candido. Forse bisogna solo aspettare il momento, confidare che arriverà. Come quando un ingorgo di traffico che sembra impossibile, magicamente da un momento all’altro si scioglie e il traffico torna a fluire.
Esplorando l’atrio trovo tre prese funzionanti al piano rialzato, ancora in allestimento e chiuso da un cancello senza lucchetto. Almeno posso ricaricare il mio cellulare e avvertire del ritardo. Ritrovo la calma e scrivo, godendomi l’androne deserto prima che un omino qualunque venga a dirmi che qua non posso stare, che il cancelletto non dovevo aprirlo (davvero? E dove sta il cartello che lo vieta?)
Sono le 17.40 quando finalmente l’altoparlante prende vita per un annuncio: “Il treno 16649 previsto per le ore 15.50 viaggia con circa tre ore di ritardo”. Con i tempi indiani l’informazione che ho tanto cercato alla fine è stata dispensata a tutti i passeggeri!
P.S: Il treno è arrivato alle 19.15. Le piogge monsoniche che si stanno abbattendo sul Kerala negli ultimi giorni hanno causato danni sulle linee e tutti i treni sono in ritardo. Sono comunque arrivata a casa sana e salva, chi mi stava aspettando alla stazione non era impazientito dal mio ritardo.
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