Gopuram all'ingresso I maratha usarono le pietre della seconda cinta muraria per costruire il forte attorno; i francesi trasformarono la zona tra i due gopuram in armeria
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Il complesso templare Il cortile rettangolare misura 152,4 x 76,2 metri
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Il Vimana La torre è alta 66 metri (la più alta in India)
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Nicchia-altare laterale Primo livello del santuario, una profonda nicchia in cui c'è la statua di Shiva Dakshinamurti
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Shiva Nataraja I Chola crearono e perfezionarono l'idolo di Shiva, signore della danza
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Affreschi posteriori I Nayak restaurarono il tempio nel VII sec e crearono numerosi affreschi, coprendo di stucco quelli pre-esistenti
Il Grande tempio di Tanjore, in Tamil Nadu, è uno di quei posti che ti rimangono scolpiti nella memoria. Il nome del monumento potrà svanire dalla mente, ma il Brihadeshvara Temple dedicato al dio Shiva, non si fa dimenticare. D’altronde non è stato costruito per passare inosservato e scomparire con il passaggio delle stagioni. Dietro questo capolavoro d’architettura c’è il sogno di grandezza di un re, Rajaraja I (985- 1014) della dinastia dei Chola. Ogni dettaglio, ogni pietra comunica la sua ambizione e la tensione verso la perfezione. Il tempio di Brihadeshwara (anche detto Rajarajeshvara o semplicemente il Grande tempio) è il testamento artistico e simbolico di un imperatore visionario.
Il tempio fu costruito in soli 6 anni (tra il 1004 e il 1014 d.C), interante in granito, che non esiste nelle vicinanze. Tutto è grandioso – il disegno architettonico, i materiali usati, le proporzioni meticolosamente studiate, la dimensione, l’esercizio di capacità ingegneristiche, lo sforzo umano per la costruzione.
Già il primo scorcio sul tempio lascia senza fiato, come fosse l’unico capolavoro che l’India regala – anche se ce ne sono diversi anche solo nel tragitto tra Chennai e Tanjore. La torre del tempio si nota da lontano ma si rivela poco per volta, aggiungendo un pizzico di fascino passo dopo passo. Superato il centro caotico della città , attraversato il ponte delle mura di difesa in stile occidentale (un’aggiunta del XVIII sec.) ci si trova davanti a due massicci gopuram: le porte d’ingresso sanno di antico, di storie che viaggiano nel vento e sono state scolpite nella pietra per rimanere eterne. All’epoca della costruzione dovevano sembrare maestose, in confronto agli ingressi dei templi contemporanei, ma sono diventati piccoli paragonati ai gopuram che nei secoli successivi sono cresciuti fino diventare alti 74 m e ospitare migliaia di statue in gesso colorato.
Attorno non ci sono i negozi di fiori, di oggetti utili alla venerazione, non c’è la vita che brulica normalmente nei luoghi di culto hindu. Il monumento è un sito archeologico protetto dall’Unesco. Il passato e il presente sono chiaramente separati, e per noi turisti occidentali così è più facile apprezzare l’arte non immersa nel caos di colori e suoni e odori della contemporanea religiosità indiana.
Oltre la soglia lo sguardo è catturato dall’imponente torre del tempio (detta vimana), posata su un’alta piattaforma che la slancia ulteriormente verso il cielo. L’inusuale vuoto attorno –ci sono solo un paio di alberi e templi minori- la sobrietà delle mura, l’ordinato prato, il granito per terra e un enorme Nandi (toro) di pietra nera, accentuano la sua grandezza. Il vimana rappresenta la superiorità del dio Shiva sugli atri dei e quella del re che lo elesse a divinità per unificare il suo impero sugli altri re. La torre è alta 66 m, la lastra di granito su cui poggia la cupola di pietra ha le stesse dimensioni della base della torre (8x8 m) e pesa 80 tonnellate. La cupola è un monolite di pietra, alto 6m che pesa 300 tonnellate. Come abbiano fatto a trasportare le due enormi pietre lassù rimane un mistero. Secondo i calcoli d’ingegneri moderni sarebbe servita una rampa lunga 6 km, probabilmente fatta di terra e sabbia.
Nel santuario alla base della torre c’è un enorme linga (simbolo di Shiva) di pietra nera e sulle mura esterne ci sono trenta rappresentazioni del dio (la più frequente è quella di Shiva Tripurantaka: Shiva che con una sola arma distrugge i regni di tre demoni –a dio piacendo anche Rajaraja ne distrusse parecchi nelle sue guerre di conquista via terra e per mare).
Senza dubbio Rajaraja fu un grande manipolatore di simboli e istituzioni religiose per fini politici, il migliore per molti secoli a venire. Altrettando limpida è la sua intenzione di edificare, senza badare a spese, qualcosa di unico, che non potesse confondersi con le opere già esistenti e non avesse paragone con le future.
Il tempio venne abbandonato alla morte del re nel 1014. Il vinama e il santuario erano completati e attivi, ma mancavano le sale colonnate davanti, che vennero aggiunte in seguito dopo anni di abbandono (i figli e i pronipoti di Rajaraja si dedicarono all’edificazione di altri templi nel Chola Nadu- ci sono oltre 200 templi sparsi nel territorio). Neanche il più magnifico dei re può fermare il tempo, ma il frutto della sua visionaria impresa ha resistito ai secoli, alle occupazioni degli eserciti maratha, francese e inglese, ed è riconosciuto come il gioiello dell’architettura del sud dell’India.
Quando visitai il Grande tempio non avevo aspettative, non sapevo nulla della storia del re che lo fece costruire, ero ignara delle sfide ingegneristiche della sua costruzione, cieca ai simboli con cui comunicava con il mondo, ma la bellezza e l’armonia non richiedono studi. Il Brihadeshvara continua a conquistare, senza temere rivali.
Informazioni di visita Il tempio è chiuso dalle 12 alle 16. In estate è consigliabile la visita la mattina presto, prima che il granito su cui si cammina si scaldi troppo.
All'interno del santuario c'è un corridoio interno con affreschi dei Chola, si possono visitare solo con uno speciale permesso, ma nell'ala sinistra è allestita una mostra dedicata al restauro con buone riproduzioni degli originali.
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