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Cultura

Nilakantan, l'elefante del tempio

Una storia che racconta come in una collaborazione la fedeltà nasca dal rispetto.

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Il Kerala ama molto gli elefanti, i loro servizi al tempio sono preziosissimi e alcuni pachidermi diventano leggende. Come Nilakantan.
Non sappiamo dove sia nato né chi fossero i suoi genitori. Se sia nato in cattività o se sia stato cacciato da qualche bracconiere. Ma nel 1865 il giovane elefante, dall’aspetto malaticcio, arrivò nei pressi del tempio dedicato al dio Shiva nella città di Panthalam e si rifiutò di proseguire fingendosi malato.
Venne quindi venduto ai brahmani del tempio, ben felici di poter avere per una cifra misera un elefante da consacrare al dio. Nilakantan crebbe fino a diventare un animale regale e possente, dai movimenti eleganti e controllati, ma a renderlo popolare furono soprattutto l'intelligenza superiore e la capacità di donare amore a chi lo trattava con rispetto e affetto. La mansuetudine e il carattere docile di Nilakantan si devono alla sua sensibilità, ma soprattutto all’amore e alle cure del suo mahout. Per Madhavashar, per la gioia di rendere orgoglioso il suo custode Nilakantan imparò tutto ciò che doveva fare durante i complessi rituali che avvengono nel tempio. Divenne così bravo da non avere più bisogno di una guida, anzi spesso fu lui stesso a tenere il passo e condurre gli altri elefanti nelle processioni.

Una festa al tempio per un elefante implica essere circondato da una grande folla, botti, musica e pesanti drappi decorativi che scendono sulla fronte, mentre si fanno le deambulazioni attorno al santuario con le pause rituali nei momenti stabiliti. Oltre alla memoria gli elefanti devono avere anche un grandissimo tatto e autocontrollo, lo si capisce bene partecipando oggi a un festival del tempio della città di Panthalam o altrove.

Nilakantan era un eccellente maestro di cerimonie. Era buono, tuttavia non sopportava la violenza e le sue reazioni erano proporzionate alla grandezza. Quando il fratello di Madhavashar per l’ennesima volta lo ferì brutalmente, per costringerlo a sollevare un peso eccessivo, Nilakantan lo scaraventò a terra e lo calpestò. Ma Madhavashar, che conosceva la natura del fratello, con un semplice “Figlio mio, cosa ti hanno fatto per renderti così furioso?” sussurrato in quelle orecchie infuriate riuscì a calmarlo e riportarlo a casa.
Nilakantan e Madhavashar divennero l’emblema della fiducia e dell’amore reciproco. Un triste giorno Madhavashar si ammalò di vaiolo e morì, lasciando il cuore del pachiderma nella disperazione più nera. Per sette giorni nessuno riuscì a tranquillizzarlo e farlo mangiare. Infine si rassegnò e continuò a vivere. Passarono alcuni anni e molti custodi si occuparono di lui, alcuni con indifferenza, altri con un odio che pagarono con la vita. Nel 1905 Nilakantan morì misteriosamente mentre lavorava in una piantagione di banane. Racconta il poeta keralese Kottarathil Sankunni nel suo libro di storie e leggende del Kerala, che chi aveva conosciuto l’elefante piangeva a ricordarne la morte, con il cuore pieno di affetto e ammirazione per un animale speciale e dall’intelligenza fuori dal comune.


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