Il modello di sviluppo del Kerala, argomento quasi sconosciuto ai keralesi, è invece spesso oggetto di discussione nel mondo. Il principio secondo cui standard di vita elevati siano possibili anche con entrate basse sembra non avere senso, stupisce. Il senso comune dice che le cose belle della vita siano direttamente proporzionali alla grandezza del conto in banca, ovvero che più si è ricchi più la vita è lunga e felice. Il piccolo stato del Kerala, nell’India meridionale, prova che non deve essere così per forza. Il Kerala è relativamente povero, anche per i parametri indiani, se lo si valuta in termini economici e di PIL. Ma se si considerano gli indicatori sociali l’opinione cambia. Lo stato non ha affatto l’aspetto di un paese del terzo mondo. Con la miglior sanità, istruzione e altri parametri simili a quelli dei paesi sviluppati, questa terra è un paradosso.
Cosa succede esattamente e perché? Potreste anche sospettare che non sia vero. Invece è reale e tangibile. Tuttavia occorre dare alcune spiegazioni e fare delle riflessioni sulla sostenibilità del modello per il futuro. Prima di tutto dobbiamo addentrarci nella storia del Kerala per capire perché sia oggi così.
Geograficamente è una striscia di terra con una lunga costa, punto di forza che, congiuntamente alla presenza di regnati competenti, ha fatto sì che il Kerala abbia potuto godere di una discreta libertà commerciale con l’estero nel periodo precoloniale e coloniale, non come altri territori che subirono invece un pesante sfruttamento. Così liberamente poterono circolare anche le idee e culture diverse vennero ben accolte e inglobate nel tessuto sociale locale.
Le donne, che godevano di una parziale emancipazione, giocarono un ruolo chiave nella creazione del Kerala. Qui si sviluppò una delle poche società matrilineari, rare al mondo. Questo ha contribuito a formare delle donne autonome e con un forte senso di amor proprio, caratteristiche passate da generazione in generazione. Tutti questi fattori hanno fatto sì che il Kerala divenisse un luogo con alti tassi di alfabetizzazione e istruzione, dove le donne hanno un discreto ruolo sociale e dove molti servizi sono comparabili a quelli dell’occidente.Il Kerala non è un’utopia. Non tutto è perfetto. Dare la massima importanza alla salute, all’istruzione pubblica e alle pari opportunità implica un coinvolgimento totale dello Stato che spesso porta a grossi deficit economici. Il Kerala è scarsamente industrializzato, nonostante la presenza di risorse naturali. Anche il tasso di disoccupazione è alto. Molti keralesi emigrano nei paesi medio-orientali o all’estero per lavorare. Le entrate generate dai non residenti in Kerala (NRK) contribuiscono fortemente all’economia del paese.
La domanda sorge spontanea: questo modello è sostenibile? Facciamo alcune considerazioni su ciò che i keralesi pensano della vita nella loro terra per provare a dare una risposta. Il keralese è soddisfatto dell’istruzione ricevuta, soddisfatto del servizio sanitario a cui ha diritto, contento dell’accesso all’informazione e della possibilità di partecipare a discussioni pubbliche, che scaturiscono alla minima questione. Tutto considerato si dice felice della vita, che ritiene soddisfacente. Per chi suda nei deserti, a chilometri di distanza dai cari, forse la vita non è quello che aveva desiderato, ma rimane il sogno di rimpatriare un giorno e abitare nella casa che costruisce con i risparmi, nella propria fertile terra.
E’ vero: in patria alcuni sono disoccupati, ma si trova sempre il modo di sopravvivere. E’ vero: le statistiche indicano molta povertà, ma non ci sono baraccopoli e mendicanti. In molte case l’uomo è ancora il padrone, tuttavia quasi mai una ragazza viene disprezzata, né le viene negato ciò che è dato a suo fratello. Sicuramente il Kerala ha la sua buona dose di problemi, ma può contare su eccellenti risorse naturali e umane. Recentemente è diventato una delle mete preferite dal turismo. Sta anche facendo grandi progressi nel settore dell’IT. La differenza tra ricchi e poveri sta aumentando leggermente, invece di diminuire, ma non si può ignorare che il numero dei poveri che non hanno accesso ai servizi basilari sta scendendo lentamente. La situazione non sembra così malvagia, ancora decisamente salvabile.
A volte spendere non determina la qualità della vita e i soldi non sono tutto.
Scritto da Archana Ambali
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