Giovedì, 21-02-2013, ore 10:00. La statale 47 è deserta. Sulla strada qualche moto e ciclista rilassato, ai lati negozi sbarrati, bancomat con le saracinesche abbassate e drappelli di uomini seduti a terra vicino alle bandiere rosse. Silenzio innaturale: niente strombazzare di clacson, niente gincane tra autobus dalle manovre imprevedibili e pedoni temerari che rivendicano il proprio diritto alla strada. A un paio di chilometri dall’ingresso del Technopark le prime pattuglie della polizia. Agenti in uniforme in mezzo alla corsia controllano distrattamente l’orizzonte, una coppia di poliziotti ogni 500 m. Davanti all’ingresso una barricata; le macchine della polizia lasciano passare un veicolo alla volta, il cancello è semichiuso: sembra una scena bellica, invece è un hartal, uno sciopero generale.
L’hartal nazionale del 20 e 21 febbraio è stato indetto da 11 sindacati per protestare contro le politiche del governo centrale a sfavore della gente: aumento dei prezzi, leggi sul lavoro da migliorare, riduzione degli investimenti nel settore pubblico e apertura agli investimenti diretti stranieri.
Gli hartal sono una forma di disobbedienza civile e mirano a bloccare il Paese: chiusura delle scuole, degli uffici, dei negozi, niente mezzi di trasporto pubblico. La parola viene dal Gujarat, lo stato di Gandhi e fu proprio il grande leader a istituzionalizzare questa forma di protesta negli anni della lotta per l’indipendenza contro gli inglesi. Un’altra parola è bandh, che significa chiuso. Il bhand è una forma estrema di sciopero in cui gli attivisti dei partiti politici in pratica minacciano la popolazione a non mettersi per strada, e la Corte Suprema li ha legalmente banditi nel 1998 (tuttavia se date un’occhiata alle testate dei giornali di questi giorni la parola compare spesso). In Kerala, lo stato dove scioperare è diventato uno stile di vita -18 scioperi generali nel solo 2012- la differenza tra hartal e bandh mi sembra meramente linguistica.
Lo sciopero di questi giorni è riuscito a bloccare le normali attività del Kerala, non ugualmente intenso in tutti gli stati indiani. Lunedì, quando lo sciopero è stato confermato, si sono formate code ai benzinai, mercati e negozi hanno registrato un aumento degli incassi. Pollo e alcolici sono i beni maggiormente ricercati, chiaro segnale che per molti l’hartal è un’occasione per godersi una vacanza. Ci si è preparati a passare due giorni in casa, con la famiglia, consumando le provviste e guardando speciali programmi televisivi. Per chi ha dovuto spostarsi non è stato facile: nessun mezzo di trasporto pubblico e poche macchine private si sono avventurate per strada temendo le rappresaglie degli attivisti. Gli autobus privati con il personale delle compagnie del settore informatico-dove le pause lavorative sono attentamente valutate- sono stati scortati da convogli speciali della polizia. Molti turisti si sono ritrovati sotto assedio negli alberghi, con limitata possibilità di movimento.
L’hartal colpisce soprattutto il semplice cittadino ed è da molti considerato una licenza al vandalismo e alla prepotenza dei partiti politici. Questo risulta leggendo i titoli dei giornali, sicuramente alla ricerca della notizia sensazionale: “Lo sciopero nazionale dei sindacati colpisce la normale vita del Paese”, “Lo sciopero diventa violento in UP, veicoli bruciati a Noida”, “Lo sciopero dei sindacati paralizza le banche, 1 morto”…
Nei prossimi giorni si saprà se lo sciopero sia servito effettivamente a qualcosa.
Nel giorno del rientro alla normalità si contano i danni, più ingenti dal punto di vista economico che umano, ed è inevitabile chiedersi: “L’hartal, come forma di protesta, ha ancora senso di esistere in nome della disobbedienza civile-non violenta-ideata da Gandhi?”
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