Quante sono le fasi che scandiscono la vita di un uomo o, in altri termini, quali sono i cicli dell’esistenza? Per noi occidentali sono tre: infanzia, età adulta e terza età. Con la giovinezza che sta a cavallo tra infanzia e mondo adulto senza chiari confini. Gli anni biologici indicano in quale fase siamo, ma non abbiamo riti di passaggio chiaramente demarcati.
Secondo l’India antica invece l’essere umano dovrebbe attraversare quattro distinti periodi, chiaramente definiti e delineati –detti ashrama. Precisi passi segnano il susseguirsi delle fasi, senza lasciare confusione. Si sa con certezza in quale età ci si trova e cosa ricercare in quello stadio, quali sono i doveri e i piaceri dell’età che si sta vivendo.
Il primo stadio, che corrisponde alla nostra infanzia e giovinezza si chiama brahmacharya, il periodo dell’apprendimento. In questi prima anni di vita il compito è imparare, sia studiando testi e teoria che acquisendo praticamente una professione o un’arte. Lo scopo è diventare adulti responsabili, in grado di sostenere le responsabilità sociali, umane e spirituali delle fasi successive.
Il secondo periodo è il grihastha, la fase in cui la vita ruota attorno alla famiglia e alle responsabilità di essere genitori capaci di fare crescere i figli e occuparsi dei bisogni materiali del nucleo famigliare allargato. A demarcare chiaramente l’ingresso in questo stadio è il matrimonio.
Nel terzo stadio, il vanaprastha, si abbandonano lentamente le responsabilità- una sorta di pensionamento dal lavoro ma anche dai doveri famigliari. Idealmente si entra in questa fase al momento della nascita del primo nipote (figlio del figlio). Si inizia con smettendo di preoccuparsi di portare a casa i soldi per i bisogni materiali di tutti fino ad arrivare al completo abbandono delle responsabilità materiali ed emotive.
L’ultimo stadio è il sannyasa, la completa rinuncia al mondo terreno e ai legami affettivi per dedicarsi completamente alla ricerca spirituale e prepararsi alla morte. Fisicamente si vive come eremiti nella foresta e lo scopo ultimo è quello di uscire al ciclo delle rinascite.
Nel mondo vedico le quattro fasi non erano obbligatoriamente consecutive. Se una persona era portata verso lo studio poteva rimanere studente tutta la vita; o entrare nella foresta e diventare eremita senza passare dalla vita di famiglia. In un periodo storico in cui l’induismo si trovò probabilmente a competere con altre religioni indiane che accentuavano il cammino della rinuncia (Buddha per esempio), il susseguirsi dei quattro ashrama divenne mandatorio per il buon hindu.
L’India contemporanea non segue alla lettera i dettami lascito dei testi del passato, ma gli indiani, rispetto a noi italiani, sembrano essere molto più pragmatici e accettare senza apparenti dilemmi il passare degli anni e i cambiamenti di ogni età.
Il fenomeno dell’eterno Peter Pan non è molto diffuso da queste parti del mondo, così come quello dell’arzillo anziano che non riesce a smettere di occuparsi degli affari della ditta e della famiglia. Con dovute eccezioni, naturalmente.
Sono spesso sorpresa dalla serenità con cui i ventenni dall’aspetto moderno accettano di sposarsi dopo qualche anno di lavoro per soddisfare i desideri della famiglia e della società attorno. Ogni individuo in India è interconnesso a chi lo precede, lo segue e gli sta attorno, forse questo senso di condivisa responsabilità è la ragione dietro alla serenità con cui i bambini diventano adolescenti (senza i forti contrasti generazionali tipici della nostra società) e quindi giovani adulti orientati verso il matrimonio e la vita famigliare.
O forse pillole della saggezza millenaria e del sistema degli ashrama sono diventate buonsenso comune, che annota lo scorrere del tempo e il cambiare delle circostanze, e suggerisce di vivere al meglio la fase presente conformandosi alla norma, senza sognare di cambiare drasticamente rotta.
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