Gli alberi in India sono sempre meno. Crescita demografica, apertura al mercato globale e aumento della richiesta di materie prime mettono a repentaglio le foreste e l’ambiente. Anche in India, dove si raccontano miti di dee che sedute sui rami di un albero sacro donano prosperità all’umanità, dove ogni giorno nei templi si offrono fiori e foglie agli dei e dove gli stessi alberi sono percepiti come manifestazioni divine.
Non tutti sono d’accordo, ogni tanto qualcuno alza la voce per dire basta. Talvolta la voce che si sente è una voce di donna – madre natura infondo è femmina anche da questa parte del mondo... Nomi come Arundhati Roy (attivista e scrittrice) e Vandana Shiva (biologa che lavora per la banca dei semi) hanno fatto il giro del mondo. Ma non sono le prime: Chipko, il movimento ambientalista che lanciò la “lotta degli abbracci” degli alberi, annovera molte donne ed è stato il precursore di molte battaglie verdi dei nostri giorni.
Tutto iniziò secoli fa, nel 1730 nel Rajasthan governato dai Maharaja, ma le radici del rispetto delle piante sono molto più antiche. Nel XV un guru illuminato stabilì una nuova setta, a cui potevano aderire coloro che credevano in una società più equa e solidale, che rispettasse sia gli uomini che la natura. Guru Jambheshwar stilò 29 regole e nacquero i Bishnoi (bish = 20 noy=9). La terra desertica in cui la maggioranza vive è ricca di alberi e gazzelle e cervi che scorrazzano senza timore vicino alle capanne d’argilla degli uomini (si veda il fotoreport di Franck Vogel). Nel 1730 il Maharaja di Jodhpur stava costruendo un nuovo palazzo –nel rispetto della tradizione secondo cui ogni nuovo regnante deve lasciare ai posteri un capolavoro architettonico a dimostrazione della propria potenza. Il re si ritrovò ad avere bisogno di legna per cuocere la calce. Sapendo che nei villaggi dei Bishnoi gli alberi abbondavano, ordinò ai suoi uomini di andare, tagliare e tornare. Così un martedì mattina gli abitanti di Khejarli si trovarono l’esercito alle porte, con asce in mano. Amrita Devi, una mamma con due figlie, tentò di convincere i soldati a non tagliare gli alberi sacri alla loro religione (uno dei precetti vieta di abbattere gli alberi vivi). Le parole caddero nel vento; allora Amrita abbracciò d’istinto un albero e disse: “Sir santhe runkh rahe to Bhi Sasto Jan” (liberalmente tradotto: una testa tagliata costa meno di un albero abbattuto). La storia non finisce bene. I soldati, molto ligi al proprio dovere, decapitarono la donna e gli altri 362 bishnoi che la emularono, tagliarono gli alberi e tornarono dal Maharaja. Il re si pentì e promise di non tagliare più alcuna pianta in terra bishnoi (ogni anno tra agosto e settembre si celebra un festival in onore dei coraggiosi martiri). Era nato il movimento Chipko.
Secoli dopo la storia si ripeté in Uttara Khand, la regione montuosa himalayana colpita da una terribile alluvione lo scorso giugno. Era l’anno 1973, passata era l’epoca dei maharaja. Questa volta a essere muniti di asce e seghe erano operai al servizio di un impresario. Un’altra temeraria donna-Gaura Devi- memore della storia delle donne bishnoi, abbracciò un albero sfidando a passare sul suo cadavere per poter procedere al disboscamento e le sua compaesane la imitarono. La storia, fortunatamente, questa volta è a lieto fine: gli operai si fermarono; la foresta, lo stile di vita e le risorse della gente di montagna erano salve.
Da allora il movimento chipko ha preso piede, portato avanti da uomini e donne. I successi ci sono stati, le sconfitte non sono mancate: un abbraccio non salva il pianeta, ma l’immagine è poetica e, innegabilmente, potente.
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