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Scacco matto al mondo

L'India ama gli scacchi e sostiene di giocarci fin dal VI secolo. Sicuro è il suo talento, confermato dal campione mondiale Anand Viswanath

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Il 30 maggio l’India conquista il mondo, con gli scacchi. Anand Viswanathan batte l’israeliano Boris Gelfald nel teso scontro finale del campionato mondiale di scacchi che si è svolto a Mosca. Una grande vittoria che conferma la supremazia di Anand, cinque volte campione mondiale nel 2000, 2007, 2008, e 2010, e onora il suo Paese. L’India ama gli scacchi e ha un talento innato per questo sport. Il primo indiano ad avere ottenuto il prestigioso titolo di Gran Maestro nel 1988 è stato Anand, per i fan Vishi. Oggi ci sono 26 gran maestri indiani (10 italiani). Incoraggiati dalle vittorie dell’attuale campione, e dai premi in denaro che si possono vincere nei vari tornei nazionali e internazionali, sempre più giovani si dedicano alla pratica del gioco aspirando a diventare eroi nazionali. Sono nati club in ogni dove e alcune tra le migliori scuole private hanno inserito nel piano di studi gli scacchi.

Ma ancor prima che lo sport diventasse una tendenza l’India giocava, e lo faceva decisamente con passione. La bravura degli indiani è proverbiale come il talento per la matematica, l’inclinazione per l’informatica e la buona memoria. Non è provato che esitano legami tra queste discipline e che gli indiani abbiano un cervello particolarmente analitica, tuttavia son indiscussi i loro successi sulla scacchiera. Perché rimane un mistero. Sicura invece è la lunga storia degli scacchi in India. Si pensa che un gioco simile agli scacchi (chaturanga, come una delle formazioni dell’esercito) esistesse all’epoca dei Gupta (VI d.C.). Non ci sono reperti archeologici a dimostrarlo ma il grande poema epico Mahabharata lo descrive. Il gioco aveva una scacchiera, dei pezzi di vario valore e con libertà di movimento diverse. Vinceva chi dava scacco al raja (re) avversario e si usavano i dadi per selezionare il pezzo da muovere. Il mantri (ministro) era affine all’attuale regina e al posto degli alfieri c’erano gli elefanti. i giocatori potevano essere due o quattro. Il chaturanga era usato come strumento per affinare la strategia militare, il gioco d’azzardo e perfino per imparare l’astronomia. Dall’India pare che il chaturanga sia passato alla Persia e sia diventato l’antenato più prossimo del gioco attuale, eliminati i dadi considerati peccaminosi nel mondo islamico e ridotti a due i contendenti (molti ritengono che sia l'impero sassanide la culla del gioco). Grazie agli arabi gli scacchi sbarcarono in Europa tra il XIV e il XV d.C. L’usanza di giocare a scacchi per migliorare le capacità militari e politiche è passata in India da re a re, dinastia dopo dinastia. Il grande imperatore Akbar fece costruire un’enorme scacchiera sulla pavimentazione della sua nuova capitale Fathepur Sikri (anche se in realtà non amava questa attività e l’enorme scacchiera a terra non è mai realmente utilizzata) e quasi tutti i maharaja si cimentavano nel gioco. In molti palazzi, oggi diventati sia musei che alberghi, sono presenti scacchiere da tavolo che su pavimento, ai tempi dei re i servitori sollevavano i pesanti pezzi dietro indicazione degli sfidanti. Durante il periodo di dominazione inglese un giocatore indiano, Sultan Khan rappresentò l’Inghilterra in tre Olimpiadi. Nel post indipendenza gli schacchi diventarono ufficialmente uno sport nazionale.

Le vittorie di Anand coronano di gloria un gioco centenario, made in India.

 

Crediti foto nel testo:

Jaipur chess set con licenza  Creative Commons License


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