La moneta unica della Repubblica indiana è la rupia, una sola moneta che passa di tasca in tasca, di mano in mano a milioni di persone dal nord, al sud, dall’est all’ovest. Su ogni banconota c’è la parola rupia scritta in 15 lingue, con diversi alfabeti. Esiste la moneta unica, ma non una sola lingua per l’India. Le 15 lingue danno un’idea della ricchezza e dalla grandezza del paese, ma sono solamente una semplificazione della babele linguistica del subcontinente.
La Costituzione indiana oggi riconosce 22 lingue principali (18 moderne e 4 classiche), che sono parlate dal 95,6 % della popolazione: il restante 4,4% degli indiani comunica con altri idiomi. Secondo il censimento del 2001 i cittadini indiani parlano 122 lingue, che sono il risultato del raggruppamento delle 1500 diverse risposte alla domanda "Qual è la tua lingua madre?".
A cosa si deve tutta questa ricchezza? Certamente le dimensioni geografiche contano, ma è soprattutto nella storia che si deve cercare la risposta.
Tutte le lingue dell’India appartengono a quattro famiglie linguistiche principali, che riflettono la presenza di diversi gruppi etnici: indo-ariane (74,3%), dravidiche (23,9%), sino-tibetane (0,6%) e austro-asiatiche (1,2%). Dalla preistoria fino ai giorni nostri le migrazioni di genti straniere giunte nel subcontinente hanno contribuito a creare il multietnico e multiculturale panorama indiano, così diversificato eppure unitario, sempre pronto a vedere le affinità pur mantenendo le differenze.
Le lingue indoariane si ritiene siano giunte in India con l'arrivo degli ariani verso il 1500 a.C. La loro evoluzione più prestigiosa è il sanscrito, la lingua perfetta in cui si tramanda il sapere sacro. Dalle prime lingue ariane, attraverso le modifiche e gli adattamenti che le popolazioni autoctone ne fecero, derivano la maggior parte delle lingue parlate attualmente nel nord e nel centro.
L’origine delle lingue dravidiche si confonde nella nebbia della storia e della leggenda. I sostenitori del ceppo dravidico le ritraggono come le lingue autoctone e ne fanno un simbolo della cultura meridionale, raffinata e ricca già prima dell’incontro con la cultura ariana proveniente dal nord. E’ però probabile che siano state popolazioni provenienti dall’esterno a portarle sulle coste meridionali dell’India. Le attuali lingue dravidiche sono parlate negli stati del Tamil Nadu, Andhra Pradesh, Karnataka e Kerala. Il Tamil vanta una continuità letteraria delle più antiche al mondo. Le lingue austro-asiatiche sono parlate quasi esclusivamente dai tribali in Orissa e hanno caratteristiche in comune con le lingue degli aborigeni australiani. Le lingue sino-tibetane sono diffuse nelle zone del nord ovest, sul confine con la Cina.
Nel tredicesimo secolo le invasioni musulmane hanno portato l'arabo, il turco e il persiano che, fondendosi con le lingue locali hanno dato vita all'urdu, parlata prevalentemente dai musulmani in 5 stati. Durante il periodo degli imperatori moghul la lingua persiana divenne la lingua di stato. L’ultima lingua straniera ad arrivare in India è stato l’inglese. Divenuta la lingua ufficiale dell’India nel 1837, l’inglese è ancora oggi una delle due lingue ufficiali panindiane (l’altra è l’hindi) e ha un ruolo prominente nella vita del paese. Solo una piccola fetta della popolazione è madrelingua inglese, ma non esiste indiano che non usi un numero discreto di parole inglesi nella lingua che parla tutti i giorni.
Per le strade dell’India poliglotta non esiste purismo linguistico, regna ovunque la ricetta del masala (miscuglio): prendi un discreto numero di parole della tua lingua madre, aggiungi le parole della lingua ufficiale più conveniente, insaporisci con parole inglesi entrate nel linguaggio comune (non importa se non sai che sono inglese) e decora con chicche di parole di tendenza (solitamente inglese, ma si presta bene anche l’italiano o altro). Al bazar non è la valuta rupia che conta, ma ciò che con essa si può comprare, così come non importa la lingua, ma i messaggi che si vogliono comunicare.
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