Ogni anno il Mudra Festival di Trivandrum porta sotto un solo tetto le danze classiche dell’India. Per gli amanti del ballo sono giorni di giubilo. Per chi pratica qualche danza è il momento di imparare dai grandi maestri, nelle mattinate dedicate alle dimostrazioni e alle lezioni. Per turisti e stranieri è un’occasione per imparare qualcosa sull’arte indiana e vedere ottime danzatrici sul palco. Tuttavia non è facile e immediato apprezzare le danze.
Sull’accaduto ho riflettuto e sono arrivata alla conclusione che ci siano due vie per godere al meglio, da forestieri a digiuno di arte, di uno spettacolo di danza classica indiana (innanzitutto trattenetevi dal fare paragoni con forme di danza occidentali, così diverse per estetica e intenzioni da non offrire alcun utile strumento):
La via lunga prevede di arrivare un minimo preparati allo spettacolo, che conosciate un poco lo stile e soprattutto quale storia verrà rappresentata.
La via più breve è cercare di svuotare i pensieri critici generati dall’emisfero sinistro e immergervi nella bellezza della rappresentazione. Farsi trasportare dalla musica, dal movimento degli occhi e delle mani, dalle espressioni facciali, dalla perfezione e delicatezza dei movimenti –senza cercare di capire, solamente osservare la sinfonia dei piccoli dettagli curati alla perfezione, ammirare la padronanza tecnica che diventa espressione nello sforzo di trascendere e diventare ciò che si sta rappresentando.
Come per il cibo, i film e i colori, anche la danza indiana non è una sola cosa, ma un’orchestra di tanti elementi miscelati: movimento, mimica, recitazione, musica, poesia, emozioni, rito e devozione religiosa.
Il nome in voga oggi per danza è natya che significa anche teatro.
E come nel teatro si rappresentano storie, così le danze dell’India raccontano leggende di dei, eroi e demoni. Sul palcoscenico si alternano, senza chiara demarcazione, il mondo umano e quello divino, narrazione soggettiva e oggettiva –tutto infondo non è che una manifestazione dell’Assoluto che, secondo gli hindu, danzando ha creato il nostro mondo.
La danza non vuole raccontare la storia di un uomo, ma dell’umanità, è sempre universale e per questo mancano le forti connotazioni psichiche dei protagonisti. Le emozioni sono codificate, le interpretazioni della danzatrice attingono all’enorme patrimonio condiviso di immagini, storie e aneddoti mitologici.
In materia di danza io sono solo al primo livello, quello in cui si fatica a distinguere tra uno stile e l’altro, e s’ interrogano organizzatori, conoscenti o poveri malcapitati vicini sulla storia che si sta per rappresentare. Spiacente, non vi posso accompagnare molto lontano.
Ma perché si assomigliano le diverse danze posso dirvelo: tutte condividono lo stesso patrimonio di storie, l’estetica si basa sugli stessi trattati classici (Natyashastra in primis), enfatizzano l’importanza dell’espressione degli occhi, della mimica facciale e tutte usano lo stesso “vocabolario” di gesti delle mani (dette hasta mudra-come il festival), in tutte ci sono momenti di danza narrativa alternati ad altri di danza pura.
Grazie al Mudra Festival –organizzato dal Vyloppilli Samskrithi Bhavan e il Department of Cultural Affairs del Kerala- è aumentato il mio amore per le danze dell’India ed è stato possibile ogni sera vedere nella stessa sera due diverse tradizioni, facile notare le differenze e apprezzare l’arte.
Le danze presentate sono state il Bharatanatyam (Tamil Nadu, Karnataka), Mohiniyattam (Kerala), Odissi (Orissa; una delle danzatrici era la bravissima italiana Ileana Citaristi ), Manipuri (Manipur), Kuchipudi (Andhra Pradesh), Vilasini Natyam (Andhra Pradesh), Kathak (Uttar Pradesh, Rajasthan), Nangiarkoothu (Kerala). Potete scorrere la galleria in copertina per visionare l'unico danzatore e le danzatrici che hanno partecipato al Festival.
Appuntamento alla prossima edizione?
Nota: se vi affascinano i costumi delle danzatrici non perdetevi questo interessante fotoreportage Il tessuto nella Danza indiana
Crediti
Immagini per la cortesia del Vyloppilli Sanskirthi Bhavan
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