Il cocco è una pianta generosa e in Kerala non conosce stagione di raccolta, forse perché la terra è fertile, la pioggia abbondante e le temperature sono alte tutto l’anno. Attorno alle palme di cocco sono cresciute come funghi tante case, palazzi, uffici, strade. Diverse piante sono state abbattute, ma quelle che rimangono sono, per fortuna, ancora molte e producono molte noci di cocco, tutti i giorni dell’anno.
Il cocco è una delle offerte che si fanno agli dei in tutti i templi dell’India. Come alimento è alla base della cucina e, un tempo, della vita stessa dei keralesi, tanto importante da dare il nome stesso allo stato: secondo alcuni Kerala significa infatti la terra del cocco. Con l’acqua e la polpa tritata si preparano pietanze dolci e salate, per la colazione, il pranzo e la cena. Nei villaggi si usano la fibra che lo ricopre e le foglie tra cui nasce come combustibile per cucinare, in pentole di argilla con utensili ricavati dal guscio della noce. Dalla palma si ricava un liquore a fermentazione naturale, il toddy che si beveva un tempo in calici di noce in capanne fatte di foglie intrecciate, con porte e finestre di legno di cocco. La stessa tecnica usata oggi per coprire le terrazze dei ristoranti nelle località balneari, dove turisti sorseggiano il cocco fresco. Con la fibra si fabbricano corde e si intrecciano tappeti di coir. La segatura che cade quando si staccano le fibre è un ottimo fertilizzante per giardini. Con le foglie si intessono stuoie, ceste e paraventi. L’olio estratto dal latte è un buon idratante per la pelle e rende i capelli lucidi e il cuoio capelluto sano.
Raccogliere il cocco è quindi doveroso. Anche in città, anche se non ne apprezziamo il sapore: una solida noce di cocco gialla o arancione che si stacca dall’alto dei 10-15 metri della palma e precipita verso il basso, confermando le leggi di gravità valide anche in questa parte di mondo, può far male. Raccogliere il cocco è una necessità. I tempi però sono cambiati, i figli sono andati a scuola e hanno imparato a far di conto e aspirare a una vita migliore, meno legata alla terra e con più comodità, da pagare con stipendi più alti. Sono aumentate le scuole, ma nel loro giardino sono rimaste le palme di cocco. Cocchi come spade di Damocle, che pochi uomini, sempre meno giovani, sanno ancora raggiungere e raccogliere, salvando molte teste da tragici impatti. La scuola non è riuscita tuttavia a esaudire i sogni e le aspettative di tutti e tra i tanti fortunati alcuni si sono ritrovati, ahimè, con le mani in mano a fare i disoccupati.
Pensando a loro, e alla domanda del mercato, il governo indiano ha instituito un programma di formazione per aspiranti raccoglitori di cocco, Friends of Coconut Tree, sotto l’egida del consiglio per lo sviluppo del cocco del ministero dell’agricoltura. Il corso unisce pratica e teoria: si studiano la pianta, la coltivazione, i metodi di cura e si praticano le nuove tecniche di raccolta. Alla fine del corso gli studenti meritevoli ottengono l’immancabile certificato e uno strumento meccanico che rende la scalata della palma meno faticosa e pericolosa. L’innovazione tecnica ha aperto le porte della professione, prima rigorosamente dominio maschile, anche alle donne: il cocco contribuisce anche all’emancipazione femminile.
Con la moderna tecnica di raccolta è si possono mediamente guadagnare 500 rupie (circa 8 euro) al giorno – la paga minima giornaliera per un operaio specializzato è di 450 rupie e per un operatore agrario 350. Il progetto ambisce a formare entro la fine di marzo 2012 cinquemila raccoglitori e a riqualificare la professione. I lavoratori, divisi per località e con recapito telefonico, sono inseriti nel sito internet del Coconut Development Board, creato appositamente per rendere la convivenza tra gli uomini e il cocco più sicura e fruttuosa.
Crediti immagini:
La raccolta del cocco, di jynxzero
Cocco fresco di Christian Senger
Essicazione del cocco di Phù Thinh Co
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