L’India è ricca di tempo, in tutti i sensi. Ve ne accorgete al primo appuntamento, quando aspettate un quarto d’ora...mezz’ora... se non di più. Dopo qualche mese di India imparate la lezione: il tempo non è denaro da queste parti.
Non lo era nemmeno quando l’India adottò l’ora unica (UTC +5:30), detta Indian Standard Time (IST) che sacrifica ore di luce in nome dell’unità nazionale. I confini nord-occidentali e quelli nord-orientali sono separati da oltre 2000 chilometri di territorio, quando il sole sorge su Delhi in Assam ci sono già state due ore di luce…passate a dormire. Anche la Cina, che primeggia sull’India in vastità, ha una sola ora, mentre la Russia ne ha undici e gli Stati Uniti nove e il Canada sette.
Non tutti sono contenti. Discussioni sulla necessità di adottare più fusi sono emerse più volte e di recente il primo ministro dello stato dell’Assam ha dichiarato aperta la rivoluzione del tempo: lo stato si dichiara indipendente dalle decisioni del governo centrale. Se Delhi non si decide a prendere in considerazione cambiamenti sull’ora standard , lo Stato sposterà autonomamente di un’ora in avanti le lancette degli orologi. Dopo anni di minacce di secessione politica e tensioni armate questa “piccola” separazione non dovrebbe preoccupare troppo, ma l’opposizione è forte -in nome del disagio che subiranno i viaggiatori sposandosi nel paese, del rischio di fomentare il desiderio di separazione, del crollo dell’ideologia di una Nazione unita nelle diversità e nella pericolosa eventualità che avere più ore significhi aumentare il rischio di incidenti ferroviari.
Sembra uno scherzo la motivazione dei treni, eppure le ferrovie hanno avuto un peso importante nella storia dell’IST. I fusi orari furono introdotti in India durante la dominazione britannica. Nei primi anni della sua storia in India la ferrovia rispettava le ore delle principali città, ma siccome i due centri commerciali principali erano Bombay (UTC +4:51) e Calcutta (UTC +5:30:21) ben presto solo questi due fuso orari vennero presi in considerazione e vennero ufficialmente adottati come fusi nel 1884.
L’India optò per un fuso orario unico nel 1906, misurando l’ora sul meridiano 82,5°, poco distante dalla città di Allahabad. Calcutta mantenne la sua ora fino al 1948 e Bombay fino al 1955.
Ora l’Assam chiede di potere adottare ufficialmente la sua “ora del tè”, così detta perché le piantagioni iniziano a lavorare con un’ora di anticipo rispetto all’ora ufficiale per sfruttare al meglio il sole e aumentare la produttività.
L’India non ha mai seguito una politica di risparmio del tempo, introducendo più fuso orari o l’ora legale e permettendo, come sostiene il ministro dell’Assam, di migliorare la gestione delle ore di luce e risparmiare una notevole quantità di energia (solo durante le due guerra con la Cina venne introdotta l’ora legale).
Forse il governo in questi tempi di crisi energetica prenderà in considerazione la questione, ma non credo che avere due o più fuso orari cambierà la cultura, lo stile di vita degli indiani e la gestione del tempo. Gli uffici pubblici continueranno a lavorare tra le 10 e le 17, con lunghe pause pranzo; gli impiegati privati non rinunceranno ai numerosi tè e alla chiacchiere anche a costo di stare in ufficio ben oltre le 8 ore lavorative; la puntualità non sarà diffusa.
Potrà nascere un nuovo Indian Standard Time ma rimarrà inalterato in vigore l’Indian Strechable time, il tempo elastico indiano – c’è persino un orologio creato da Hyphen per aiutarvi a non essere troppo fiscali in materia di tempo!
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