Gli utenti Internet in India sono cento milioni. L’India è oggi il terzo paese al mondo per numero di persone connesse, dietro la Cina e gli Stati Uniti. Secondo l’International Telecommunication Union la crescita non è che all’inizio, considerando che la popolazione indiana ammonta a 1 miliardo e diciassette milioni e sempre più persone acquistano smart phone e tablet, oltre che computer.
Ma l’India è anche il paese delle grandi contraddizioni e delle facili violenze religiose e sociali. Quest’estate le violenze tra musulmani e hindu in un angolo del nord est del paese, fomentate dai social media hanno portato migliaia di persone del nord est a scappare da Bangalore, Mumbai e Pune dove si sentivano minacciati. La diffusione di contenuti su internet preoccupa e solleva domande sulla necessità di un intervento di controllo governativo a tutela della quiete pubblica.
La costituzione indiana protegge la libertà di parola, in qualsiasi forma. La stampa, spesso con una forte e vivace vena satirica (passata anche nel media digitale), è molto popolare. I telegiornali sono seguitissimi. Il potere giudiziario protegge il diritto di espressione, anche via internet, ma l’esecutivo cerca di controllare il web forzando a proprio favore le leggi stesse.
Il 5 dicembre 2011 Kapil Sibal, ministro dell’informazione e delle telecomunicazioni, creò scalpore suggerendo alle compagnie internet di filtrare i contenuti, prima della messa on line: di fatto promuovendo una censura che ricorda la Cina. Le leggi sulle tecnologie dell’informazione (Information Technology Act, 2000) sono state progressivamente ammendate a partire dal 2008 per stare al passo delle giurisdizioni mondiali sul copyright, ma l’interpretazione da adito a politiche regressive. La sezione 79 della legge IT (emendata nell’aprile 2011 per esercitare maggior controllo) stabilisce che i service provider, e altri intermediari, non abbiano il dovere di monitorare e selezionare contenuti forniti da terzi, ma debbano modificare o rimuovere entro 36 ore materiali considerati riprovevoli, denigratori, molesti, blasfemi o pericolosi, qualora siano sporte denunce. Non sono richieste motivazioni o procedure specifiche. L’India è tra i Paesi che fanno più richieste a Google per la rimozione di contenuti e l’accesso ai dati degli utenti. Ma non sempre Google e le altre compagnie soddisfano le richieste. Da qui la stretta di morsa e l’avvio di un irrigidimento delle politiche o, come molti sostengono, della censura.
La lotta contro la libertà assoluta di espressione è già avviata: il primo, palese, caso avvenne nel 2006 quando il governo indiano volle bandire alcuni siti presenti su Blogspot, Typepad e Yahoo e per inesperienza bloccò interi domini, rendendo così apertamente visibile la manovra di censura e sollevando ondate di proteste. Più recentemente, il 23 dicembre, 21 compagnie (tra cui Google e Facebook) sono state accusate di cospirazione criminale per avere dato spazio a contenuti osceni e discutibili su divinità hindu, il profeta Maometto e Gesù Cristo. � il caso più importante, ma solo uno dei tanti.
Anche a livello internazione l’India propone un maggior partecipazione dei governi nel controllo di internt, in collaborazione con gli azionisti che al momento gestiscono il web. La richiesta di filtrare i contenuti infamanti e blasfemi è diventata particolarmente importante per il governo proprio quando nel paese si stava espandendo il movimento anti corruzione Anna Hazare (dall’agosto 2011), che ha fatto uso di internet e dei social media per la diffusione.
Sui giornali continua la satira e la critica, a cui i lettori non rinuncerebbero facilmente, ma il silenzio di Internet sembra essere più facile da ottenere.
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